Fonda­zione Culturale

Oltre 80 colle­zioni di opere d’arte e mate­riale su più di 80.000 nomi nella storia del cabaret e dei suoi prede­ces­sori costi­tuis­cono il nucleo dell‘Archivio Nazio­nale di Cabaret Tedesco.
Fondata nel 1961 da Rein­hard Hippen a Magonza, la colle­zione privata fu lasciata nel 1989 alla città di Magonza, dapp­rima come fonda­zione dipen­dente. Nel frat­tempo, sotto la dire­zione di Jürgen Kessler, l’archivio è stato tras­for­mato in una fonda­zione cultu­rale sovven­zio­nata da diverse isti­tu­zi­oni pubbli­che. Dal 1999, in rico­no­sci­mento della loro import­anza nazio­nale, l’Archivio del Cabaret è stato sosten­uto da finan­zia­menti da parte dei responsa­bili della cultura e comu­ni­ca­zione del governo federale.
Nel 2004 le colle­zioni si tras­fer­i­rono nello storico depo­sito Provi­ant-Magazin a Magonza .

La colle­zione di Bernburg

La seconda sede a Bern­burg sul fiume Saale docu­menta la storia del cabaret nella Repubblica Demo­cra­tica Tedesca. Questo progetto è sosten­uto dalla città di Bern­burg e dal governo federale.
L‘ archi­vio si trova accanto alla “torre di Eulen­spie­gel” nell‘edificio “Cris­tiano“ del castello di Bernburg.

Stars of Satire

In their museum areas, both bran­ches of the archi­ves memo­ri­a­lize major figures of the cabaret in the twen­tieth century and present the “Stars of Satire” in their perma­nent exhi­bits. Mainz has honored the “immor­tals” of history in a cabaret “Walk of Fame” that runs between the Provi­ant-Magazin and the Unter­haus Theater, while a “Hall of Fame” in the Bern­burg Palace has a similar mission.

Archi­vio Nazio­nale del Cabaret Tedesco

Centro di docu­men­ta­zione della satira in lingua tedesca

Dal 1961

Scopo | Il cabaret come forma giocosa della satira, il suo conten­uto lettera­rio, poli­tico, filoso­fico e poetico rappre­sen­tano il fulcro della nostra atti­vità di docu­men­ta­zione. Il compito centrale dell’Archivio Nazio­nale del Cabaret Tedesco è la conti­nua colle­zione delle varie forme di cabaret da rendere dispo­ni­bile ad uso scientifico.

Le richieste vengono elabo­rate quoti­dia­na­mente e gli utenti proven­gono da tutto il mondo. Innan­zi­tutto l’archivio serve da luogo di ricerca e fonte per studi, disser­ta­zioni e tesi negli ambiti della lette­ra­tura e teatro, scienza dei media, musi­co­lo­gia, lingu­i­stica, socio­lo­gia, poli­to­lo­gia, scienze della comu­ni­ca­zione e della cultura.

Le espo­si­zioni dell’archivio sono rego­lar­mente in giro per la Germa­nia e ad oggi sono state mostrate anche in Sviz­zera, Austria, Lussem­burgo, Francia, Israele, Giap­pone, Polonia, Unghe­ria ed Austra­lia. La serie in 6 parti “100 Anni di Cabaret“ è stata inau­gu­rata nel 2001 nell’Academia delle Arti di Berlino.
Per inca­rico del Presi­dente del Consiglio Fede­rale ed in occa­sione della festa nazio­nale è stata creata una mostra speciale sul tema “La storia della Germa­nia dell‘Est e dell‘ Ovest nello spec­chio del cabaret poli­tico“ con il titolo : deri­sione singola, risata comune.

Nel 2018

ricorre l’ottantesimo anni­ver­sa­rio della “Notte dei Cris­talli“ , il nome eufe­mi­stico della notte del 10 novembre 1938. E 85 anni fa, il 10 maggio 1933, fu il giorno in cui i libri brucia­vano a Berlino e succes­si­v­a­mente altrove; a Magonza brucia­vano il 23 giugno.
Nelle sue memorie “Un tedesco contro Hitler – Berlino 1933“, pubbli­cate postume, Sebas­tian Haffner descrive cosa poteva essere il cabaret poli­tico-lettera­rio, nono­stante le circos­tanze negli anni di terrore del regime nazionalsocialista:

Certo,

depone un po‘ a nostro sfavore il fatto che noi, pur con l’esperienza dell’angoscia e il senso dell’estremo abban­dono, riuscis­simo a igno­rare per quanto possi­bile la situa­zione e cercas­simo di diver­tirci evitando gli intralci. Credo che una coppia di cento anni fa ne avrebbe ricavato qual­cosa di più…magari anche solo una lunga notte d’amore, resa più sapida dal peri­colo e dalla preca­rietà. Noi non fummo in grado di rica­varne qual­cosa di speciale, e dunque ci avviammo alla volta del cabaret, visto che nessuno ce lo impe­diva: primo, perché l’avremmo fatto comun­que, secondo, per pensare al meno possi­bile alle cose spia­ce­voli. Può sembrare una dimostra­zione di sangue freddo e di spaval­de­ria, eppure proba­bilm­ente è segno di una certa insen­si­bi­lità e dimos­tra che noi, anche in uno stato di soffe­renza, non eravamo all’altezza della situa­zione. Se mi si concede di gene­ra­liz­zare, una delle carat­teristi­che incre­sciose del recente passato tedesco è che i suoi atti sono privi di autori, prive di martiri le sue soffe­renze, è che tutto accade in una specie di semi­nar­cosi, con una perce­zione cosci­ente peno­sa­mente sottile dietro alla mostruo­sità ogget­tiva: è che i delitti vengono commessi con lo stato d’animo di una stupida ragaz­z­ata, l’umiliazione e la morte morale vengono accett­ate come fossero un piccolo, fastidioso inci­dente, e persino la morte fisica tra i tormenti viene ad assu­mere press’a poco il signi­fi­cato di un “gli è andata male“

Quel giorno

la nostra indo­lenza fu ricom­pen­sata oltre il dovuto, perché il caso ci portò proprio alla Cata­comba, e questa fu la seconda rile­vante espe­ri­enza della serata. Capi­tammo nell’unico luogo pubblico della Germa­nia dove – con corag­gio, con umorismo e con eleganza – si eser­ci­tava una specie di resis­tenza. Al mattino avevo visto la corte d’appello prus­siana con la sua tradi­zione centen­aria crol­lare inglo­rio­sa­mente di fronte ai nazisti. La sera vidi come un pugno di piccoli caba­ret­tisti berlinesi senza nessuna tradi­zione salvava l’onore glorio­sa­mente e con grazia. La corte d’appello era caduta. La Cata­comba resisteva.

L’uomo

che qui condu­ceva alla vitto­ria il suo mani­polo di attori – perché ogni fermezza e ogni conte­gno mante­nuti di fronte a uno stra­po­tere estre­ma­mente minac­cioso sono una specie di vitto­ria – si chiamava Werner Finck, e questo piccolo presen­ta­tore da cabaret ha senza dubbio un suo posto nella storia del Terzo Reich, uno dei pochi posti d’onore che in essa si possono assegnare. Non aveva l’aria di un eroe, e se alla fine quasi lo divenne, ciò accadde suo malgrado. Non era un attore rivo­lu­zi­o­na­rio, né un canzo­na­tore mordace, né un David con la fionda. Il suo più auten­tico tempe­ra­mento si mani­festava nel candore e nell’amabilità. Il suo umorismo era lieve, danz­ante, aereo; il suo mezzo espres­sivo essen­ziale era il doppio senso e il gioco di parole, di cui poco alla volta divenne un vero virtuoso. Aveva inven­tato qual­cosa che veniva defi­nito “l’effetto finale nascosto“, e certa­mente faceva bene a nascon­dere il più a lungo possi­bile i suoi effetti finali. Ma non nascon­deva le sue idee. Era la roccaf­orte del candore e dell’amabilità in un paese dove proprio queste qualità compa­ri­vano nella lista dell’annientamento. E “l’effetto finale nascosto“ di quel candore e di quell’amabilità era un vero, indo­ma­bile corag­gio. Osava di parlare della realtà del nazismo, in piena Germa­nia. Nelle sue presen­ta­zioni ricor­re­vano i campi di concen­tra­mento, le perqui­si­zioni, la paura collet­tiva, la menzo­gna collet­tiva; e le sue battute in propo­sito avevano qual­cosa di indi­ci­bilm­ente lieve, malin­co­nico e dolo­roso; e un’inconsueta forza consolatoria.

Quel 31 marzo 1933

fu forse la sua serata più rius­cita. Il locale era zeppo di gente che guar­dava ai giorni a venire come se fiss­asse in un abisso spalan­cato. Finck la fece ridere come non ho mai sentito ridere un pubblico.Era un riso patetico, il riso di una nuova capar­bietà che si lasciava alle spalle lo stor­di­mento e la dispe­ra­zione, e il peri­colo dava alimento a quel riso… non era quasi un mira­colo che le SA non fossero qui già da un pezzo, per arrestare tutti? Proba­bilm­ente quella sera avremmo conti­nu­ato a ridere anche sul furgone della polizia. In maniera incre­di­bile, eravamo stati traspor­tati oltre il peri­colo e la paura.

Dia un’occhiata…

Lei sarà sorpreso quando mi farà visita nello storico Commis­sa­riato di Sussis­tenza a Magonza. Sono tutt’altro che lo stereo­tipo di un archi­vio sorpas­sato. Nono­stante la mia giovi­nezza sono un clas­sico, se così posso defi­nirmi. Mi permetta di presen­tarmi con oltre mille metri quadrati di asso­luta eleganza museale. Non per dire, ma tutto questo per Lei! Dopo­tutto, sto perse­guendo un inter­esse pubblico di carat­tere cultu­rale. Sto conser­vando un intero genere, una forma d’arte unica, per così dire! Origi­na­ria­mente il mio fonda­tore mi regis­trò nel libro di fami­glia come “Centro di docu­men­ta­zione della satira in lingua tedesca” ma subito dopo il suo arrivo a Magonza, nel 1961, orgo­gli­osa­mente mi ribat­tezzò “Archi­vio del Cabaret Tedesco”.

Da quel giorno,

il mio staff si sta dedi­cando alle forme di rappre­sen­ta­zione e mani­fes­ta­zioni della satira in tutto il mondo. Ecco perché possiamo dare il benven­uto a tanti visi­ta­tori inter­na­zio­nali. Recente-mente, abbiamo avuto uno studente di Mosca, qui per recup­er­are mate­riale degli anni ’20 per la sua tesi di dotto­rato, ed un profes­sore giap­po­nese, inter­es­sato al tema del cabaret in esilio. Tempo fa un dotto­rando dell’Università di Yale tras­corse nove mesi nelle profon­dità dell‘archivio, sulle orme del ruolo del trova­tore medievale come ante­nato del cant­au­tore poli­tico. Richieste scritte da tutto il mondo danno rego­lar­mente testi­mo­ni­anza del grande inter­esse per i miei tesori. È per questo che, dall’i­ni­zio del XXI secolo, sono stato in grado di aprire più di 160 mostre, in sette paesi europei. Ricordo quella in Francia nella Maison Hein­rich Heine della Città Univer­si­ta­ria Inter­na­zio­nale di Parigi: “Le Monde, un Cabaret – Les débuts du cabaret litté­raire en Alle­ma­gne et en France.” (Il mondo, un cabaret – Gli inizi del cabaret lettera­rio in Germa­nia ed in Francia), cui sono seguite Monpe­l­lier, Tolosa, Lione e Digione. Nelle regioni di lingua tedesca, siamo stati in tournée con “100 anni di Cabaret” da Alzey a Zurigo. Quella mostra fa vedere ciò che ho da offrire: il genere! I suoi eventi e la loro storia. Riguarda gli artisti. Soprat­tutto quelli del cabaret poli­tico-lettera­rio come arte che lotta per la demo­cra­zia e la libertà. Riguarda gli autori e le loro vite. Troppo spesso storie di soffe­renza. Riguarda la loro influ­enza, per chiunque inter­es­sato, nel corso di tutte le epoche. Per il pubblico della Belle Epoque e per quello dell’era impe­riale. Tra rivo­lu­zi­one e censura. Tra la prima e la seconda guerra mondiale. Tra demo­cra­zia e ditta­tura, mili­ta­rismo e fascismo. Si tratta dell’arte della soprav­vi­venza, in esilio e sotto coper­tura, tra stili e partiti poli­tici. Riguarda la nostra cultura, le sue tras­for­ma­zioni, l‘ educa­zione. E natur­al­mente si tratta di risate. Risate su noi stessi e sugli altri. Si trat a della topo­gra­fia della beffa e del suo linguag­gio attra­verso il mutamento dei tempi. Proprio come si tratta dell’u­mo­rismo e della poesia della nostra espe­ri­enza umana, dell’assurdo e del concreto, delle criti­che all’attualità in forma artis­tica. E, ultimo ma non meno importante, riguarda anche l’in­trat­ten­imento. Fin dall‘inizio. E riguarda l‘amore! A propo­sito, che anche curare raccolte* sia una forma d’amore, l’ha detto il filosofo ameri­cano George Steiner.

Il signi­fi­cato della parola “cabaret”, come forma d‘arte

composta di vari generi teatrali, esiste solo dalla fine del XIX secolo. Questa mistura è ben rappre­sen­tata dalla grade­vole parola fran­cese “cabaret” che, da una parte, sta a signi­fi­care pub, piccolo bar, così evocando il proprio carat­tere di inti­mità, dall’altra, piatto da insa­lata a scom­parti, vassoio da anti­pasti, in cui le sezioni che lo circond­ano rappre­sen­tano le diverse arti sceni­che: musica, teatro, danza, scenette, e persino pittura. Dopo alcuni precur­sori come il “Cabaret des Assa­sins”, dove si canta­vano ballate di strada su assas­sini, fu Rodol­phe Salis, in origine un pittore, che una notte dell’au­tunno del 1891, nel suo pub “Chat Noir” a Mont­martre , salì su un barile per annun­ciare al suo pubblico bene­stante le esibi­zioni di vari artisti. Quella fu la nascita di ciò che ora il mondo conosce come cabaret, critico dei tempi attuali e lettera­rio! Come fonda­tore dei cosid­detti Cabaret Artis­ti­ques, Salis è stato il primo della cate­go­ria dei presen­ta­tori. Si potrebbe chiamarli la salsa di legame nello scom­parto centrale del piatto da insa­lata. I suoi commenti erano famosi! A volte insul­tanti, aggres­sivi, proprio come le canzoni lì cantate. Ma fu questo ciò che attrasse il pubblico intel­let­tuale di Parigi. Ben presto l’élite intel­let­tuale salì sul “Butte sacré” (barile sacro). Segui­rono poli­tici e aris­to­cra­tici. Ne sono esempio Victor Hugo ed Émile Zola; o il combat­tente italiano per l’indipendenza Giuseppe Gari­baldi, così come il prin­cipe Jérôme Bona­parte, proni­pote del grande Napo­leone e nipote di Nap leone III. Sono apparsi molti cantanti, compo­si­tori e inter­preti di grande talento, molti dei quali sono diven­tati famosi, come Aris­tide Bruant e Yvette Guil­bert, la prima ”diseuse” del cabaret fran­cese. La sua contro­parte maschile, Aris­tide, ha conti­nu­ato la sua carri­era nel suo locale “Le Mirli­ton” con canzoni social­mente criti­che, mirate all’i­po­cri­sia della borg­he­sia possi­dente. Oggi egli è famoso in tutto il mondo grazie ad un mani­festo di Henri de Toulouse-Lautrec. Due poster di Chat Noir del 1895 sono arri­vati di recente nei miei archivi per le grafi­che, aggi­un­gen­dosi a tutti gli altri quasi venti­mila reperti di tutte le epoche del XX secolo. E tutto questo è nato grazie a quella parte di popola­zione più desi­de­rosa di arte e cultura. Il cabaret è stato, almeno per i bohé­mien, il mezzo elet­tivo. Lo scrittore Otto Julius Bier­baum lo ha defi­nito: “Rina­sci­mento di tutte le arti e della vita a partire da un barac­cone!” procla­mando: ”Saremo noi a creare una nuova cultura ballando! Faremo nascere il Superuomo dalla sala di un pub! Lo faremo per buttare giù questo stupido mondo! ” E lo inten­deva sul serio! Sfort­u­na­ta­mente, furono altri a buttare giù il mondo. Ma ancora, è stato qual­cosa di nuovo per il 1900! E‘ stata l’era dei nuovi inizi, delle nuove ispi­ra­zioni: l’uomo come essere proi­ett­ato nel tempo. Il mondo come un cabaret! Come lo stile liberty, nuova forma d’arte che scatenò un vero movi­mento diven­uto “in voga”, travol­gendo rapi­da­mente Berlino come un’ondata. Qui il barone conser­va­tore Ernst von Wolz­o­gen, il 18 gennaio 1901, tren­te­simo anni­ver­sa­rio della fonda­zione del Secondo Impero tedesco, riscosse un grande successo con il suo “Über­brettl”. L’originale dell‘ordinamento interno del teatro è conser­vato nei nostri archivi.

Poco dopo,

entra­rono in scena a Monaco gli “11 carne­fici”: il primo vero cabaret poli­tico della Germa­nia. Agli undici si unì Frank Wede­kind, come anche fece Marc Henry, che arrivò da Parigi. E dunque i miei diretti ante­nati vengono, per parte materna, dalla Francia e dall’Im­pero tedesco, per parte paterna. Un miscuglio europeo proprio come la nostra vecchia nobiltà … E poi è acca­duto tutto in rapida succes­sione! Nel 1901 si erano già svilup­p­ati almeno quaranta locali con programmi di cabaret lettera­rio lungo il fiume Sprea. A Vienna apri­rono i cabaret “Zum lieben Augus­tin” (Caro Agos­tino), “Nacht­licht” (Lumino da notte) e “Fleder­maus” (il Pipist­rello). Frida Strind­berg, che ebbe il primo figlio con August Strind­berg e il secondo con Frank Wede­kind, fondò il primo cabaret di Londra. Prece­den­te­mente a Barcel­lona esis­t­eva già “El quatre Gats” (I quatro gatti). Segui­rono Craco­via, Varsa­via, Buda­pest e San Pietro­burgo: sulle orme del modello fran­cese, i cabaret si svilup­pa­rono fino a Mosca. Dove però manca­vano senso d’aff ri o talento, un locale appena aperto poteva fallire rapi­da­mente. Ma la svolta conti­nu­ava. Per il momento. Tipico di questa giovane forma d’arte, come origi­na­ria­mente a Parigi, fu il palco dei pub, il podio per i cosid­detti vaganti o goli­ardi. Qui si poteva realiz­zare il sogno degli artisti bohé­mien: presen­tare le proprie opere, libe­r­a­mente e al di fuori delle logiche di mercato dell’arte tradi­zio­nale. L’im­me­dia­tezza di questa forma d’arte sul palco è affa­scinante. In teatro si fingono cose per il pubblico, ma nel cabaret gli attori parlano dirett­amente con la gente! Gli stipendi per gli artisti erano gene­ral­mente rari. La maggior parte dei paga­menti consis­t­eva in cibo e bevande. Oppure si faceva girare un piat­tino per le offerte. A propo­sito di trova­tori: i modelli e le radici risa­li­vano al Medioevo. Poesia morale e sati­rica, canzoni d’amore e da osteria dei cosid­detti “archip­oeti“, i primi poeti. Nel cabaret “Arche Nova” di Hanns Dieter Hüsch, il ruolo dell ’ ”archip­oeta” è stato cele­brato nel primo libret o del programma con una delle sue canzoni del dodi­ce­simo secolo. La colle­zione più importante, circa trecento canzoni, scoperte nel 1803 nel monas­tero di Bene­dikt­beu­ern e chiamate “Le canzoni di Beuern”, raggi­unse fama mondiale con una nuova ambi­en­ta­zione musi­cale: i Carmina Burana. La poesia troba­do­rica come un orato­rio stra­va­gante e intra­mon­ta­bile, grazie alla bril­lante musica di Carl Orff.

Gli artisti bohé­mien stessi sono un prodotto del loro tempo.

E così questi nuovi cabaret vivono dal e per il momento. Solo il “Simpli­cis­si­mus” di Monaco rappre­senta un successo di lunga durata, gestito da un presen­ta­tore femmi­nile molto compe­tente che era anche un’in­gegnosa donna d’af­fari: Kathi Kobus riesce a realiz­zare la simbiosi tra arte e commer­cio. Il “Simpl” rimarrà attivo per 65 anni, dal 1903 al 1968, un arco di tempo che, fino ad oggi, solo pochi cabaret sono rius­citi a egua­gliare. Chi non l’ha frequen­tato prima della prima guerra mondiale!? Prati­ca­mente tutti, e l’ele­gante élite di Monaco! Turisti dall’es­tero, il Prin­cipe di Galles, lo zar Ferdi­nando di Bulga­ria, il re del Belgio, capi­tani d’in­dus­tria, ricchi aris­to­cra­tici. Wilhelm Voigt, il calzo­laio che si fece un nome come “Capi­tano di Köpe­nick”, appare nel Simpl per vendere i suoi auto­grafi. E un certo Hans Bötti­cher, inizi­al­mente ospite fisso, poi autore della casa, divenne in seguito famoso come Joachim Ringel­natz. Per il mio cinquan­tes­imo comp­le­anno, una gentile signora anziana mi ha fatto un regalo: il “Libro d’oro delle Cata­combe”. Nel 1929, il suo defunto marito, Tibor Kasics, aveva co-fondato il cabaret “Kata­kombe” (le Cata­combe) a Berlino, insieme a Werner Finck. In questo mera­vigli­oso dono c’è una diver­tente dedica di Joachim Ringel­natz, così come un disegno origi­nale di Walter Trier, che ha illus­trato i libri di Erich Kästner. Ci sono auto­grafi e aforismi che vanno da Hans Albers a Carl Zuck­mayer, da Klaus e Hein­rich Mann, Walter Hasen­cle­ver e George Grosz, Max Rein­hardt, Erich Mühsam, Gustav Gründ­gens, Luigi Piran­dello ed Erwin Pisca­tor fino ad Alfred Döblin e Richard Huelsenbeck.

Ques­t’ul­timo coniò la formula Dada per il cabaret:

“Dada è il cabaret del mondo, proprio come il mondo, il cabaret, è Dada.” Nel “Cabaret Voltaire” di Zurigo, Hugo Ball ha inven­tato quella forma lettera­ria come una sfida all’a­pa­tia della borg­he­sia di fronte all’or­rore della prima guerra mondiale. Dopo il 1918, i prin­ci­pali autori di cabaret furono Kurt Tuchol­sky e Walter Mehring, cronisti di una repubblica abban­do­nata e porta­voci di una satira piut­tosto aggres­siva, che però hanno anche scritto testi poetici o deci­sa­mente comici per intrat­te­nere il loro pubblico. Bertolt Brecht è stato ispi­rato dal cabaret per la sua teoria del Teatro Epico. Con le stro­fette sati­ri­che di Otto Reuter e le canzoni di Fried­rich Hollaen­der e di Rudolf Nelson, cantate da stelle dello spet­ta­colo come Claire Waldoff e Marlene Diet­rich, il cabaret tedesco invade le grandi riviste e si diffonde nei teatri di varietà, specie a Berlino. A Monaco di Baviera, il cabaret assume la forma assurdo-popolare dell’u­mo­rista sradi­cato e dal volto triste di Karl Valen­tin. E nel 1932, un anno prima che Hitler salga al potere, Werner Finck sta sul palco, sorri­dendo timi­da­mente, e guarda dritto davanti a sé. Sta imma­gi­n­ando cosa accadrà quando prevar­ranno i nazisti e chiosa: “Nelle prime setti­mane del Terzo Reich si terranno delle parate. Se queste parate dove­s­sero essere inter­rotte da pioggia, gran­dine o neve, tutti gli ebrei nei dintorni verranno fuci­lati “. Questa battuta, come presto si vedrà, non sarà affatto una battuta. Quando i nazisti arri­vano al potere, Finck prova a vivere l’umo­rismo come resis­tenza. Centi­naia di artisti di cabaret e sati­rici tras­cor­rono il “Reich millen­na­rio” nei campi di concen­tra­mento. Ricor­diamo, per tutti, quelli onorati con una stella della satira, davanti alla porta di casa mia, sulla Piazza Romano Guar­dini, a Magonza: Erich Mühsam, Fritz Grün­baum e Kurt Gerron. Uccisi a Orani­en­burg, Dachau e Ausch­witz. Dopo l‘8 maggio del 1945, il cabaret conobbe una vera rina­s­cita. A “Trizo­ni­sia“ (ndr.: sopran­nome ironico della zona occi­den­tale) si cantava la gioia di essere soprav­vis­suti, con osti­nata malin­co­nia “ Evviva, siamo ancora vivi!“ Nel teatro Kom(m)ödchen il cabaret stabi­lisce nuovi stan­dard poli­tici e letterari. A Monaco di Baviera, Erich Kästner riprende a scri­vere e il cabaret radio­fo­nico di Günther Neumann, gli “Insu­la­ner“ (Isolani), parte­cipa alla guerra fredda attra­verso la RIAS-Berlin (stazione radio ameri­cana a Berlino). Con il tamburo di Wolf­gang Neuss, il cabaret batte le lezioni amare del mira­colo econo­mico nella cosci­enza della Germa­nia dell’ovest e poco dopo celebra il capo­danno in tele­vi­sione con la “Münch­ner Lach- und Schieß­ge­sell­schaft“ (Società di risate e colpi di Monaco) e con i ‘Stachel­schweine“ (Porco­s­pini) berlinesi. E’ così che il vasto pubblico del ceto medio ha comin­ciato a fami­lia­riz­zare con il cabaret. Da allora, la tele­vi­sione è stata dietro il boom del cabaret poli­tico. Nella Germa­nia dell’Est, il cabaret è rius­cito ad adat­tarsi per 40 anni, con maggiore o minore fatica, alle limi­ta­zioni della censura, comun­que convinto della supe­rio­rità del socia­lismo. Un capi­tolo a sé, che trova ora dimora, per la raccolta e la docu­men­ta­zione della storia del cabaret nella RDT, nel Castello di Bern­burg, sul fiume Saale. Negli anni ’60, con Franz Josef Degen­hardt, il cabaret canta contro la rina­s­cita dei neona­zisti ed agita, accanto all‘opposizione extrapar­la­men­tare, le strade dei tumul­tuosi anni ’70, per arri­vare final­mente a Hanns Dieter Hüsch ed al suo person­ag­gio “Hagen­buch“ che dichiara: “Tutto e tutti sono malati e matti“.

Negli anni ‘80,

con il gruppo “Tre Tornado“, il cabaret ha ralle­grato la giovane scena atti­vista “Sponti“ e la scena alter­na­tiva. Con Thomas Freitag, ha inces­san­te­mente parodiato il cancel­liere Kohl, inven­tore, “in questo nostro paese della satira del reale”(ndr: fatti reali così assurdi da assur­gere a rango di satira), mentre, con Gerhard Polt, fa l’autopsia alle nostre radici mentali e, con Richard Rogler, soprav­vive alla nuova libertà intel­let­tuale-morale attra­verso il cinismo, ed infine, con le reti tele­vi­sive commer­ciali in conti­nua crescita, scopre il suo valore di mercato. Da allora il genere è oscil­lante tra cabaret e comme­dia, tra impegno poli­tico signi­fi­ca­tivo e senso di profitto elevato, tra i palco­s­cenici intimi della Germa­nia e le grandi arene. Più di cento anni dopo, quel vecchio “Scherzo, satira, ironia ed il loro signi­fi­cato più profondo“ (ndr: rife­ri­mento alla comme­diadi Chris­tian Diet­rich Grabbe), con cui una volta si sperava di rove­sciare lo status quo, cade sempre più preda delle regole dell’in­trat­ten­imento commer­ciale. Il Paese è cambiato. I nuovi para­digmi sono ovunque. Ma è sempre stato così nel corso dei tempi. Persino le costi­tu­zi­oni non sono più all’al­tezza delle loro promesse. Ogni cosa ha le sue premesse, i suoi sviluppi, le sue tran­si­zioni. In fondo ogni cosa ha la propria storia cultu­rale, e quella del cabaret è quella che io docu­mento. E dunque, Will­kom­men! Bien­ve­nue! Welcome! Benven­uto! Dia un’oc­chiata. Si prenda un po’ di tempo. Faccia una preno­ta­zione. Ci visiti. Forse, un giorno, ci incon­tre­remo! Vostro Archi­vio del Cabaret Tedesco

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